La rabbia fa parte delle sei emozioni primarie insieme a gioia, tristezza, paura, sorpresa e disgusto.
All’interno della nostra società spesso le emozioni vengono classificate tra positive e quindi da perseguire, come la gioia, e negative, da evitare e negare.
La rabbia fa parte di quest’ ultime. Nei ricordi di bambino di molti spesso ricorre il ricordo di essere stati ripresi più volte da figure di riferimento come i genitori, parenti, insegnanti, per aver mostrato rabbia: un litigio col fratello, un giocattolo che si voleva e non è stato acquistato, una regola imposta da mamma e papà senza diritto di replica, e altri mille sarebbero le situazioni in cui esplicitamente, e non, ci è stato comunicato che provare rabbia non è accettabile per un “bravo bambino”. Conseguenza di ciò, per poter essere amati e non deludere quelli che si amano, è l’evitamento fin da piccoli di esternare la rabbia arrivando a negare di provarla. Realtà impossibile, perchè seppur si possa pensare di poterla reprimere, non sarebbe umano non provarla. Come tutte le altre emozioni sopra elencate, ogni essere umano prova rabbia nel corso della sua vita, da questo dobbiamo partire.
La rabbia, non può essere riconosciuta come negativa, come la gioia o la sorpresa non possono essere ritenute positive: tutte ci servono nel corso della nostra vita.
Le emozioni, se ascoltate, sono dei “campanelli d’allarme” utili alla sopravvivenza. Nello specifico la rabbia è una modalità adattativa che ci permette di comprendere che stiamo vivendo una frustrazione che ci provoca un malessere; il nostro organismo si attiva per comunicarcelo attraverso chiari segnali: sudorazione, tachicardia, aumento della respirazione, la muscolatura è più tesa, ci sentiamo più agitati, tesi.
Ora tocca a noi riconoscerli e cercare di riflettere su quale sia la miglior risposta per ritrovare il nostro benessere, che al tempo dei nostri avi preistorici poteva significare anche la vita o la morte, ai nostri giorni può significare riuscire a manifestare ad un collega, ad un datore di lavoro, ad un coniuge, ma anche ad una persona incontrata per caso il nostro fastidio in modo efficace e funzionale, senza esplodere come un vulcano e diventare aggressivi sia verbalmente sia, nei peggiori dei casi, fisicamente.
E’ proprio così: la rabbia repressa sta sotto pelle, prima o poi scoppierà come la lava di un vulcano, uscirà senza controllo.
Questo rischia di nuocere a noi stessi e paradossalmente ad allontanarci dalle persone che ci circondano e sono importanti per noi.
Su di noi l’effetto può essere il rimuginare, il logoramento che può portare con sé ansia, irritabilità, aggressività, problemi psicosomatici, e nei casi più importanti problemi psichiatrici.
Nelle relazioni sociali, la rabbia non saputa gestire porta a discussioni accese in cui si perde il punto di vista dell’altro, viene a mancare la capacità empatica di mettersi nei panni dell’altro, unico scopo è prevaricare e “vincere”; una reazione così fuori controllo può solo condurre alla rottura di una relazione e ad allontanare le persone da noi.
Noi siamo esseri sociali, ci scontriamo con l’altro, ma viviamo anche di relazione, la nostra identità si fonda su come ci vede l’altro, esistiamo perché c’è l’altro, imparare a gestire la rabbia ci può salvare dalla solitudine.
Primo passo è abbandonare il tabù “provare rabbia ci rende non amabili”, impariamo a dare voce alla nostra rabbia, diamole diritto di esistere: ascoltiamo il nostro corpo che ce lo comunica, cerchiamo di prendere consapevolezza di quale sia il nostro bisogno che sentiamo in quel momento negato, del perché accada ciò, cerchiamo di incanalare questa energia per riflettere su questo, prendiamo tempo.
Il detto dice: “conta fino a dieci”… in realtà una verità in questo c’è: il tempo per la riflessione aiuta a diminuire l’intensità della rabbia, a trovare in noi la capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace la nostra opinione senza offendere e aggredire l’altra persona, ad essere persone assertive che però si arrabbiano.
Monica Cerruti
psicologa psicoterapeuta